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Ines Cicirelli

I Vruchi di Fiumefreddo

Calabria

Le atmosfere medievali le viuzze, le scalette di accesso alle case, i tetti di tegole le case legate da archetti.

Il fascino dell'architettura i palazzi gentilizi, i portali, gli stemmi nobiliari gli emblemi.

Centro storico testimone della storia

Fiumefreddo nella storia

         

Il Castello della Valle

Il castello fa parte del panorama di Fiumefreddo ed e' visibile insieme alla Torretta, al Palazzo del Comune ex convento e al loggiato delle Clarisse, dal mare e dalla strada statale 18, mentre dalla strada provinciale che conduce al Monte Cocuzzo si mostra grandioso, insieme alle case ed alla chiesa di San Rocco.

Mostra orgoglioso le sue rovine, che con il loro linguaggio ed il fascino antico raccontano la storia di questo maniero medievale, epicentro della storia politica sociale ed umana di Fiumefreddo e della Calabria.

Le stesse rovine raccontano il degrado e la fine della sua vita politica che iniziarono quando Ferdinando IV di Borbone dopo la proclamazione il 22 gennaio 1799 della repubblica partenopea, si rifugio' a Palermo ed il Cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria, al grido di "per Dio e per il Re" attraverso' tutta la Calabria.

Dopo cruente battaglie che videro i calabresi al seguito dell'Armata della Santa Fede combattere contro i calabresi che avevano scelto l'istituto repubblicano, venne nuovamente portato sul trono di Napoli.

S.Antonio era il Santo protettore dei Sanfedisti mentre S.Gennaro il Santo protettore dei repubblicani.

La reazione di Ferdinando IV fu violenta.

A Napoli a piazza del Mercato vennero impiccati o decapitati molti protagonisti della Repubblica napoletana fra cui Eleonora Fonsega prima donna nella storia direttrice di un giornale "il Monitore Napoletano" e Luisa Sanfelice.

Pero' Ferdinando IV fu di nuovo spodestato da Giuseppe Bonaparte fratello di Napoleone, che nel 1806 si proclamo' al seguito delle truppe francesi re di Napoli.

I francesi trovarono in Calabria molte resistenze, Soveria Mannelli, Amantea, Longobardi, Belmonte Calabro e Falconara Albanese San Fili ed altri paesi si ribellarono e fra questi anche Fiumefreddo.

Il 12 febbraio 1807 il castello nel quale si erano rifugiati i fedeli sosteniori di Ferdinando IV capeggiati dal De Micheli gia' responsabile della Calabria Citeriore pronti a sostenere l'ultimo tentativo disperato di difesa, venne circondato e bombardato dall'artiglieria francese che apri' un varco di accesso e che porto' alla sconfitta degli insorti.

Alle truppe francesi si era unito un gruppo di sostenitori abitanti di Fiumefreddo.

Il castello rammenta ancora questa tristissima, fratricida, drammatica pagina di storia fiumefreddese; che vide componenti di uno stesso nucleo familiare schierati a favore dei Napoleonici o dei Borbone sovrani spodestati.

Vide anche violenze terribili verso le donne e i bambini, popolazione civile e religiosa con distruzione di case e di beni materiali; le stesse violenze perpetrate dalle truppe coloniali francesi e subite dalle donne di ogni età nel territorio della Ciociaria dopo il bombardamento di Monte Cassino nell'anno 1944 durante la seconda guerra mondiale.

Il Palazzo Zupi sito vicino il castello venne distrutto dai borbonici perche' questa famiglia era giacobina.

Un componente Emanule Zupi fu generale nell'esercito di Re Gioacchino Murat.

 

Il Palazzo del XVII Sec.venne ricostruito dai francesi.

Infine il Castello ricorda che mentre fu potenziato insieme ai castelli di Amantea, Crotone e Reggio Calabria durante il viceregno degli aragonesi, per ordine di Eugenio Bonaparte venne condannato alla distruzione solo per avere assolto al suo ruolo sociale e storico, dare rifugio e protezione ai propri figli nei momenti gravi.

Ora il castello e' di proprieta' del Comune di Fiumefreddo, continuera' a raccontare molte altre storie non piu' cruente e drammatiche.

Ferdinando IV ritorno' con il congresso di Vienna nel 1815 sovrano di Napoli e del regno  del sud, dopo il regno di Gioacchino Murat, che per decreto di Napoleone Bonaparte suo cognato fu proclamato re di Napoli nel maggio 1808 al posto di Re Giuseppe.

Re Giuseppe sempre su disposizione di Napoleone Bonaparte venne trasferito al regno di Spagna dopo l'abdicazione di re Carlo IV e la rivoluzione di Aranjuez.

Napoleone Bonaparte decreto' che Re Giuseppe doveva assumere il trono spagnolo perche' "la Spagna non era il regno di Napoli, era molto importante per numero di abitanti e per il possesso di tutte le Americhe e per le rendite immense, Madrid era vicina alla Francia, Napoli era la fine del mondo".

Gioacchino Murat venne fucilato il 13 ottobre 1815 proprio in Calabria nel castello di Pizzo, e venne sepolto nella fossa comune della cattedrale di S. Giorgio.

Ferdinando IV prese il nome di Ferdinando I, re delle due Sicilie,  il suo regno duro 66 anni.

Sarebbe auspicabile che qualcosa di visivo venisse messo nel castello o nei pressi, a ricordo del tragico evento del 12 febbraio 1807 che vide gli abitanti di Fiumefreddo sia vinti che vincitori soggetti eroici testimoni e protagonisti di fatti storici che si sono incrociati con la storia d'Europa.

Come in altri paesi del sud vi sono stati da una parte gli abitanti che si misurarono per l'affermazione degli ideali di liberta', di giustizia, di amore di Patria e rinnovamento,dall'altra i sovrani assoluti i potenti di turno, occupati in progetti il piu' delle volte reazionari ed autoritari senza prospettiva alcuna; ostaggi di un'epoca che non potra' piu' tornare.

La storia della Calabria come molte altre regioni italiane e' stata sempre purtroppo travagliata da invasioni che hanno portato lutti e distruzione.

Tuttavia il passato di violenze e di sopraffazioni, il coraggio di resistere e di difendersi, le sconfitte, gli ideali, le credenze, gli atti eroici dei singoli e dei gruppi, il sacrificio della vita passato attraverso le forche. l'impalamento, la fucilazione, hanno anticipato i Moti insurrezionali, che hanno portato al Risorgimento italiano e quindi all'Unita' d'Italia. 

Il regno di Ferdinando IV ed il regno dei sovrani francesi costituiscono un periodo storico ancora sentito e vissuto con passione ed in maniera alquanto soggettiva dalle popolazioni del sud.

Cio' emerge nei convegni, nei dibattiti, negli incontri ove si analizza la politica effettuata ed i cambiamenti sociali che ne sono derivati.

Le leggi napoleoniche, il decreto di re Giuseppe del 13 novembre 1806 che imponeva l'obbligo della rappresaglia anche nei confronti dei parroci e dei vari soggetti religiosi, la vendita dei beni ecclesiastici la requisizione delle opere d'arte, la distruzione dei monumenti, dei palazzi e dei patrimoni artistici sono ancora argomenti vivi cosi' come il fiscalismo borbonico che stremava ed opprimeva la popolazione, l'ordinamento feduale, il ruolo avuto dal grande latifondo legato ai comitati borboniani.

Il giorno  15 marzo del 2003 dopo lungo esilio quando sono venuti in Italia gli eredi di re Umberto II di Savoia sbarcando all'aereoporto di Capodichino di Napoli, sono stati accolti da movimenti monarchici provenienti dalle varie regioni d'Italia compresa la Calabria che sventolavano con orgoglio bandiere sabaude ed italiane.

In questa occasione si sono visti per Napoli piccoli gruppi filo borbonici che con il vessillo bianco con giglio rosso giravano per la  citta' inneggiando Francesco II il figlio della "Santuzza". 

La Santuzza era la pricipessa Maria Cristina di Savoia regina madre del Regno delle Due Sicilie.

Il Regno delle Due Sicilie venne spodestato da Vittorio Emanuele II di Savoia  primo Re d'Italia.

 

Il Brigantaggio Meridionale

 Il Brigantaggio nel sud d'Italia e' sempre esistito.

Dal 1799 fino a i primi decenni dell'800, nel periodo delle due restaurazioni borboniche di Ferdinando IV, ha avuto un ruolo importante il brigantaggio politico e filoborbonico.

Questo venne potenziato finanziato da Ferdinando IV che elargiva indulti ed amnistie gradi militari e titoli nobiliari oltre che denaro, e dalla regina Maria Carolina che manteneva con i briganti rapporti epistolari e dava loro denaro, materiale militare, gioielli con le sue iniziali e ciocche di capelli come al brigante Fra Diavolo che ha combattuto ad Amantea.

Anche gli inglesi alleati dei borboni appoggiarono il brigantaggio.

Nel periodo post-francese il brigantaggio riapparse; si manifesto' in maniera eclatante nel periodo post-unitario sotto l'egida del lealismo verso gli spodestati borboni.

Il simbolo piu' fulgido del legittimismo fu la regina Maria Sofia moglie di Francesco II, che tratto' con i briganti oltre che con altri soggetti politici per la riconquista del Regno delle Due Sicilie.

La rivoluzione partenopea del 1799, i Sanfedisti del Cardinale Ruffo, re Giuseppe Napoleone, re Gioacchino Murat, re Ferdinando II, re Francesco II ed i Savoia, tutti hanno avuto rapporti con il  brigantaggio, o come strumento di cui servirsi, o come grave problema da debellare.

Durante il regno di Gioacchino Murat, il brigantaggio fu represso in maniera violenta dal generale Manhes; venne emanata nel 1863 dal governo italiano  la legge Pica per combatterlo.

Il brigantaggio e' stato un fenomeno molto complesso studiato da sociologi, storici, antropologi,  criminologi politici.

Fu un periodo molto cruento ove crudelta' violenze e brutture si sono avvicendate da ambo le parti.

I briganti dovevano osservare all'interno della bande un dura disciplina; era prevista la pena di morte per ogni atto vile disobbedienza o tradimento.

Erano anche molto religiosi, avevano il cappellano credevano nei santi protettori che di solito erano i santi di origine dei loro paesi, che venivano effigiati sulle bandiere.

Si ornavano e portavano amuleti, ostie consacrate madonne e oggetti religiosi.

Alcune donne hanno seguito i briganti; le brigantesse usavano anche le armi erano feroci e violente.

In Calabria agi' Ciccilla, Marianna Olivares che arrestata venne uccisa.

Sul brigantaggio hanno scritto Pasquale Villari, Antonio Gramsci, Corrado Alvaro, Nicola Misasi, Carlo Levi, Leonardo Sciascia, Rocco Scotellaro e molti altri.

Al brigantaggio sono state date molte interpretazioni ed ora vi e' un certo revisionismo storico.

Pasquale Villari sostiene che Il brigantaggio "non nasce da una tendenza al delitto, ma dalla protesta selvaggia e brutale della miseria contro le antiche e secolari ingiustizie".

Il De Micheli che nel castello di Fiumefreddo guido' la lotta contro l'esercito di Re Giuseppe e venne sconfitto, al tribunale militare dichiaro' "...i ladri siete voi che cosa volete, che cosa siete venuti a fare. Io non sono un brigante, ho impugnato il fucile ed il coltello per il Re Ferdinando, che Dio possa ristabilirlo sul trono".

Gino Doria discepolo di Benedetto Croce scrive "..i nostri briganti erano assassini capaci delle piu' atroci crudelta'".

Rocco Scotellaro scrisse "..spuntano ai pali le teste dei briganti...ma nei sentieri non si torna indietro".

  

Proverbi calabresi 

Gli echi delle occupazioni e delle dominazioni hanno inciso anche nella cultura popolare, determinando motti e proverbi, che sono ancora presenti nel dialetto calabrese, se ne citano alcuni scaturiti a seguito dell'occupazione francese in Calabria del 1806-1815 e sul Cardinale Ruffo: 

"pari nu Manhes" per esprimere la crudelta' (Manhes generale dell'esercito francese che guido' la repressione in Calabria con ferocia)

"ce su incappati i Francisi" (a dimostrazione delle violenze e delle brutture subite dalla dominazione francese)

"Giuacchinu ha fattu e Giuacchinu la pate a legge" (la norma giuridica che si ritorce contro il potente che l'ha emenata).

"Cittu tu ca nun vali mancu pu Cardinale" si dice che questo proverbio sia scaturito dal fatto che il Cardinale Ruffo, quando una donna per la legge "ius primae noctis" veniva portata al Castello di San Lucido, per consumare la prima notte di matrimonio, e questa non era di suo gradimento e piacimento veniva rifiutata e mandata via.

Quindi con questo proverbio, la donna veniva ulteriormente umiliata nella sua dignita' e nel suo ruolo non solo per una legge iniqua ed immorale, figlia del potere assoluto che considerava sudditi tutte le persone, ma anche dal pregiudizio che derivava dall'essere stata rifiutata dal potente.

Si e' venuti a conoscenza di questo proverbio da un anziano abitante di San Lucido che nella sua vita aveva fatto il barbiere e da altre persone.

Dalla bottega dell'anziano barbiere sono passati nel tempo nobili, artigiani, contadini, pescatori.

Questa bottega e' stata una fucina di cultura e sapere popolare tramandati a voce, un traino di circolazione di idee, eventi, notizie ed avvenimenti storici.

Da questi luoghi d'incontro e' uscita un'umanita' ed una ricchezza di un vissuto che ha tramandato la storia del luogo.

Il castello dal 1908 non esiste piu' a seguito del terremoto di Reggio Calabria e Messina, ma i suoi ruderi si stagliano maestosi sul bel panorama di San Lucido.

Ancora molti raccontano le vestigia e le feste grandiose che si facevano con musica e balli.

I parenti dei parteciapnti a questi avvenimenti, ne parlano citando particolari di un mondo che ormai non esite piu'.      

 

La Torretta  

La torretta e' uno dei tre terrazzi di Fiumefreddo sul mar Tirreno dal quale si vedono panorami meravigliosi fino alle isole Eolie in particolare Stromboli e struggenti tramonti.

Ma anche luogo storico di avvistamento e d'incontro di partecipazione corale drammatica e sofferta di tutti gli abitanti, quando tempeste improvvise costituivano pericoli gravi per il rientro dei pescatori e, le mamme, le mogli, le sorelle e i parenti tutti li chiamavano a gran voce cercando di superare l'urlo delle onde del mare, facendo voti pregando e piangendo, mentre sulla spiaggia venivano accesi i falo' utilizzati come strumenti di orientamento per il ritorno.

Ora sulla torretta vi e' la grande opera scultorea del maestro Salvatore Fiume ove troneggia una donna sul surf che rappresenta la donna di oggi e contrasta con la dimensione storico-sociale di un passato non molto lontano della condizione umana e familiare della donna di Calabria e del Sud d'Italia.

La donna oltre a svolgere pesanti attività dentro le mura domestiche, era impegnata anche in lavori faticosi o per la o conto terzi a giornata, con una paga che le leggi attribuivano inferiore a quella dell'uomo.

Fra le varie attività il più delle volte scalze su strade scoscese, portavano sulla testa pesi enormi, cesti colmi di frutta e verdura da portare al "padrone" proprietario terriero, o al mercato per essere vendute; fasci di legna, sacchi di grano di farina, trasportavano anche sassi per le costruzioni che prendevano sui greti dei fiumi o nelle cave.

Si mettevano sulla testa "a Curuna".

Paradossalmente la corona simbolo di potere di ricchezza di dominio o di divinità era uno straccio attorcigliato e messo sulla testa, frapposto con la merce da portare che il più  delle volte superava "u tumminu"(50 chilogrammi).

Si creava come una specie di gioco fra queste donne, una  concorrenza a chi portava piu' tummini.

Corrado Alvaro descrive molto bene, con grande sensibilità e drammaticità la fatica di queste donne "...con il viso grondante di sudore, che le mani occupate ad equilibrare il carico non possono asciugare" "...la donna quella che porta fino ad un quintale ha ancora una mano lieve a tessere e cucire, custodire un bambino".

"...portano grossi sassi da costruzione sulla testa in lunghe file una ad una. Il macigno di cui sono costruiti molti paesi dell'Italia Meridionale e' stato portato sulla testa delle donne".

A tutt'oggi anche se il lavoro delle donne e' molto cambiato, in alcuni paesi calabresi si vedono donne che arrivano nei mercati di frutta e verdura con cesti portati sulla testa pieni di merce per essere venduta ed alcune volte sono anche scalze.

Queste Donne coraggiose lasciano un ricordo indelebile nella storia del sud di cui sono state insieme all'uomo protagoniste importanti e come dice Corrado Alvaro "...la donna non e' la schiava dell'uomo e' con lui la schiava della necessità".

la donna sul Surf rappresenta il futuro di Fiumefreddo che oltre ad evocare la memoria storica della donna del sud,  puo' essere considerata un messaggio umano sociale ed artistico, che con tutto il patrimonio storico architettonico presente sul territorio potenzierà il turismo culturale.    

 

 Stromboli

Quando all'orizzonte appare il vulcano Stromboli con la sua forma di cono vuol dire che il tempo e' buono, le condizioni atmosferiche sono ottimali.

Sembra una divinità marina che all'improvviso sorge dal mare e annuncia a tutti i paesi costieri del basso Tirreno il bel tempo dando il via ad una pesca tranquilla senza pericoli.

I pescatori questo lo hanno sempre saputo dai racconti tramandati da padre in figlio e dall'esperienze personali, tanto che nei tempi passati all'apparire del vulcano come detto da un vecchio pescatore si inoltravano fino alle coste della Sicilia.

I pescatori sebbene privi di strumenti, sono stati sempre buoni conoscitori delle condizioni metereologiche e delle variazioni dei venti e delle maree e di tutti i fattori che contribuiscono alle condizioni atmosferiche.

La vista di Stromboli ha da sempre completato il loro "bollettino meteo" risultato dall'esperienza degli avi e dalla loro esperienza fatta di nottate passate a pescare sotto le stelle, di rientri difficoltosi per le tempeste impreviste ed improvvise "le procelle omeriche" che la lunga esperienza vissuta sul mare e per il mare alcune volte non puo' prevedere.

 

 

 

 


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